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24 giovedì Ott 2013
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18 venerdì Ott 2013
Posted Nonviolenza, Ricorrenze
inL’ho visto solo nelle poche foto in bianco e nero. Mi ha sempre piacevolmente stupito il contrasto fra quell’aria austera dietro gli occhiali spessi e il suo indomabile spirito giovanile, aperto e innovativo, in perenne ricerca. Aldo Capitini muore il 19 ottobre 1968. Noi ultra cinquantenni di oggi non l’abbiamo conosciuto, eravamo ancora troppo piccoli. Di lui abbiamo sentito parlare solo qualche anno più tardi, ai tempi degli obiettori in carcere, della legge 772, delle prime esperienze di servizio civile. Abbiamo scoperto così che non siamo stati i pionieri ma che qualche decennio prima di noi un professore antifascista già difendeva l’obiezione di coscienza e organizzava le Marce per la pace. Incominciavamo a muovere i primi passi nel campo sociale e politico, e leggere «Teoria della nonviolenza» o «Le tecniche della nonviolenza» ci faceva intuire quanto è vasto l’orizzonte della nonviolenza e ci invogliava a correre in avanti, per vedere un po’ più in là. Molti nostri coetanei preferivano le barricate, sognavano la guerriglia e sceglievano simboli con i fucili. Noi ci siamo affezionati al fucile spezzato che spuntava dalle pagine della rivista «Azione nonviolenta». Ci sentivamo vicini alla voglia “rivoluzionaria” di cambiamento dei tanti movimenti giovanili di sinistra ma ci allontanava quel loro compiacimento della violenza, a volte “dolorosa ma necessaria”, altre volte “levatrice della storia”.
Il percorso culturale e politico di Aldo Capitini, che abbiamo approfondito leggendo i suoi libri, ci sarà di grande aiuto.
Scopriamo che già negli anni ’40, dopo l’esperienza comune del carcere come perseguitati politici, si incrina il rapporto fra Capitini e la sinistra. Lui che vuole realizzare il movimento, gli altri che fondano il partito. Lui, che fa esplicita scelta nonviolenta, gli altri che organizzano la rivolta armata. Verso la sinistra, il liberalsocialismo, manterrà sempre un atteggiamento di dialogo, di “aggiunta”. Nel dopoguerra non aderisce ad alcun partito, e così Capitini – che era stato fra i primissimi e i pochissimi a rifiutare da subito il fascismo e che tanto fece e patì durante il regime di Mussolini – venne lasciato fuori dal Comitato di Liberazione Nazionale e dalla Costituente. Da solo inizia un lungo lavoro per l’affermazione del metodo della nonviolenza. Fino alla morte è attivissimo: fonda i Centri di Orientamento Sociale, il Movimento di Religione, il Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza, la Società Vegetariana Italiana, l’Associazione per la difesa e lo sviluppo della Scuola pubblica, la Consulta Italiana per la Pace, il Movimento Nonviolento. Organizza convegni e seminari sui temi della pace, delle tematiche religiose, della scuola, della pedagogia. Scrive e pubblica moltissimo: «La realtà di tutti», «Nuova socialità e riforma religiosa», «L’atto di educare», «Il fanciullo nella liberazione dell’uomo», «Religione aperta», «Colloquio corale», «Rivoluzione aperta», «L’obiezione di coscienza in Italia», «Battezzati non credenti», «L’educazione civica nella scuola e nella vita sociale», «La compresenza dei morti e dei viventi», «Educazione aperta», «Le tecniche della nonviolenza». Fonda e dirige anche due riviste: «Il potere di tutti» e «Azione nonviolenta».
Dobbiamo constatare che dopo tanti anni i lavori pratici e intellettuali di Capitini restano sconosciuti ai più, ma le sue intuizioni sulla nonviolenza si sono in molta parte realizzate, mentre altre teorie e pratiche politiche sono rimaste sepolte sotto il Muro di Berlino. Il seme ha germinato. I casi della vita mi hanno portato a dirigere la rivista «Azione nonviolenta», voluta da Capitini per «aiutare noi e gli altri a chiarirci le idee in un metodo che è destinato a rinnovare profondamente la società umana (…) il metodo nonviolento, straordinariamente dinamico, finisce per avere ragione e per trasformare le attuali società, che sono società di pochi, in una società veramente di tutti. Perché questa persuasione interiore diventi consapevole e largamente diffusa, è necessario lavorare». Proseguire l’opera di Capitini è un compito davanti al quale ci si sente spesso inadeguati. Per aiutarsi bisogna ricorrere ancora una volta al metodo nonviolento che esige prima di tutto «qualità di coraggio, tenacia, sacrificio e di non perdere mai l’amore».
(*) Mao Valpiana è presidente del Movimento Nonviolento.
04 venerdì Ott 2013
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inLettera aperta di Mao Valpiana a Flavio Tosi
Caro Sindaco,
in occasione della convention al Palabam di Mantova per il lancio della tua Fondazione “Ricostruiamo il paese”, dove presenterai il tuo programma per la candidatura alle primarie del centrodestra, voglio farti un paio di domande pubblicamente.
Come ben sai appartengo ad un altro schieramento e ho sempre contrastato molte delle tue scelte amministrative per la nostra città (dal traforo alle panchine con divisorio, per citarne solo due…), tuttavia ti riconosco capacità comunicativa e politica. Penso dunque che sarà utile anche per te darmi risposte pubbliche.
Visto che ti candidi al governo del paese, vorrei sapere cosa prevede il tuo programma sul tema, per me decisivo, delle spese militari e della difesa. L’Italia oggi sostiene una spese militare di 26 miliardi di euro, cui si devono aggiungere i 15 miliardi previsti per l’acquisto dei nuovi cacciabombardieri F35 (e poi ne spenderemmo tre volte tanto per l’esercizio e la manutenzione).
La sproporzione tra le spese per la difesa armata e la difesa nonviolenta è enorme. Nel 2012 i circa 3000 militari italiani schierati in Afghanistan ci sono costati più di 1,4 miliardo di euro. Mentre per i 20.000 volontari del servizio civile in patria sono stati spesi solo 68 milioni di euro. Vorrei sapere cosa prevede il tuo programma per attuare l’articolo 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra”.
Sarebbe davvero interessante se per “ricostruire il paese” tu decidessi di spostare finanziamenti dalla spese militare alla spesa sociale. I veri “nemici” da battere oggi non sono fuori dai nostri confini, ma sono qui in mezzo a noi: la disoccupazione, la crisi economica, l’inquinamento, la cementificazione, la povertà, ecc…
Spero di sentire dal Palabam di Mantova il tuo impegno per la riduzione drastica delle spese militari, l’abolizione totale del programma F35, il ritiro immediato delle truppe dall’Afghanistan.
Mi illudo?
Un caro saluto e auguri di buon lavoro
Mao Valpiana