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Archivi Mensili: ottobre 2015

Il Sabotaggio, Erri De Luca, Flavio Tosi … ed io.

20 martedì Ott 2015

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Aldo Capitini, Erri De Luca, Flavio Tosi, Gandhi, Sandro Canestrini, Tav

Sono contento per l’assoluzione di Erri De Luca dall’accusa di “istigazione al sabotaggio”. Per i giudici “il fatto non sussiste”: significa che non vi è stata istigazione, e che viene riconosciuta la libertà di pensiero e di espressione, come vuole la Costituzione.

Invece Flavio Tosi, Sindaco di Verona e capo del nuovo partito “Fare!”, non è d’accordo ed ha affidato il suo commento ad un tweet: «Assolto De Luca: incitare al sabotaggio della Tav non è reato. Così si incita a delinquere ancora. Nessun rispetto per le Forze dell’Ordine!»

Commette vari errori Tosi. Se i giudici hanno assolto, evidentemente non c’è reato, e dunque De Luca non ha incitato a delinquere. Inoltre non c’entra nulla il rispetto per le Forze dell’Ordine, poiché il sabotaggio è diretto alle strutture del TAV (al maschile essendo Treno ad Alta Velocità, e non al femminile come scrive il Sindaco), e non contro la polizia.

Per chiarire ogni possibile equivoco, sarebbe stato meglio se in questi due anni di processo Erri De Luca avesse specificato di riferirsi al “sabotaggio nonviolento”, come ha fatto nell’ultima udienza, citando Gandhi e Mandela.

Ho attuato anch’io un “sabotaggio nonviolento” nel 1991, distendendomi sui binari alla Stazione di Balconi di Pescantina da dove passava un treno che trasportava armi dalla Germania in Iraq, durante la prima guerra del Golfo. Il treno fu fermato ed io venni processato per “blocco ferroviario”. Ai giudici dissi che avevo agito in violazione di una Legge, per obbedienza ad una Legge superiore, quella della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra) e quella delle Nazioni Unite (salvare le future generazioni dal flagello della guerra). Fui assolto (grazie all’avvocato Sandro Canestrini).

Nel libro “Le tecniche della nonviolenza” Aldo Capitini, il fondatore del Movimento Nonviolento, ha scritto: “Il sabotaggio è una tecnica della nonviolenza solo quando non vi è nessun rischio per l’esistenza di esseri viventi, particolarmente umani. E’ una delle misure di carattere estremo, quando il danno che viene apportato è superato dal danno che il funzionamento di quel servizio apporta“.
Il danno globale della guerra è certamente maggiore del danno di un treno che viene fermato.
Il danno ecologico delle infrastrutture Tav è certamente maggiore del danno di una rete tagliata.

E’ in base a tutto questo che mi sento legittimato a ricordare al Sindaco che le sentenze vanno rispettate, sempre, anche quando non collimano con il suo pensiero; per di più il pulpito dal quale manda tweet non è dei più accreditati, essendo lui stato condannato per “propaganda di idee razziste” e non avendo mai chiesto scusa per quella sua bravata giovanile quando si è fatto fotografare ridendo sulla lapide finta del procuratore Papalia.
Noi nonviolenti abbiamo sempre portato rispetto alle Forze dell’Ordine, e lui – da Sindaco e capo di partito – dovrebbe portare rispetto alla Magistratura.

Mao Valpiana
Movimento Nonviolento di Verona
Verona, 20 ottobre 2015

Ecco dove sono i pacifisti. Chi li cerca li trova.

08 giovedì Ott 2015

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Tag

Beppe Grillo, Difesa civile, Disarmo, Lev Tolstoj, Mohandas K. Gandhi, nonviolenza

Ci mancava Beppe Grillo ad intrupparsi nella schiera di coloro che ad ogni rumor di cannoni iniziano a recitare la giaculatoria “ma dove sono i pacifisti?”, salvo poi chiudere le orecchie per non ascoltare la risposta, perché, a costoro, dei pacifisti come delle vittime dei conflitti, non interessa proprio nulla, presi come sono dalla vis polemica che gli serve solo per affermare se stessi.

Per chi invece fosse davvero interessato alla risposta, ecco alcune tracce per scoprire dove sono i pacifisti, i disarmisti, i nonviolenti, e soprattutto cosa stanno facendo.

Intanto c’è da dire che chi non li trova, li cerca nel posto sbagliato. Alimentato dalla cosiddetta grande stampa , è ancora forte lo stereotipo del pacifista come di colui che se ne sta zitto e buono a casa, e poi, quando scoppia un conflitto armato, corre in piazza con la bandiera arcobaleno a protestare ed invocare la pace. Un pacifismo inane, da milleottocento, già superato storicamente, ad inizio novecento, da Tolstoj e da Gandhi, che voltarono pagina passando dal pacifismo imbelle alla nonviolenza attiva. Parafrasando Lenin con Gandhi si può dire che “il pacifismo codardo è la malattia infantile della nonviolenza coraggiosa”. Sarà bene, quindi, che i critici del movimento pacifista odierno si aggiornino, poiché sono rimasti indietro di oltre un secolo.

Oggi il movimento pacifista e nonviolento maturo non si fa dettare l’agenda politica dai titoli di giornale, dagli spot governativi, dalle dichiarazioni estemporanee di qualche Ministro della Difesa; segue una propria strategia, conduce le proprie campagne, costruisce e allarga reti di relazioni, agisce dentro i conflitti reali. Non lo si trova nelle piazza a sbraitare o a fare marce autoreferenziali. Lo si trova a lavorare sul campo, dentro ai movimenti che vogliono cambiare la realtà in meglio.

Prima traccia. Basterebbe seguire l’intensa attività della Rete Italiana Disarmo per rendersi conto della capacità di studio, elaborazione ed analisi che i pacifisti possono mettere in campo: dal controllo dell’export di armi, alle denunce sulle falle del progetto F35. La Rete ha scoperchiato il caso della fornitura di armi italiane all’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto nello Yemen che sta provocando una vera e propria catastrofe umanitaria: la legge sull’export di materiale militare (185/90) vieta espressamente forniture verso paesi in guerra, e su questo si è aperto un confronto tra pacifisti e governo.

Seconda traccia. E’ finalmente in dirittura d’arrivo l’avvio del progetto sperimentale dei Corpi Civili di Pace (sul quale i nonviolenti hanno lavorato per dieci anni), che prevede l’impiego di 1500 giovani del servizio civile per tre anni, per attività di pacificazione in aree di conflitto o a rischio; un decreto governativo finanzia questa realtà che concretizza l’idea di vere missioni di pace, civili e non militari.

Terza traccia. La Campagna per la Difesa civile non armata e nonviolenta ha visto la parte migliore del pacifismo italiano coinvolta per la raccolta di firme a sostegno della Legge di iniziativa popolare per istituire un Dipartimento che possa organizzare e finanziare tutte quelle forme di difesa della patria alternative alla difesa armata. Ora quella Legge è all’attenzione del Parlamento, che ha finalmente la possibilità di dare piena attuazione all’articolo 52 della Costituzione.

Quarta traccia. Con il Tavolo interventi civili di pace, il pacifismo italiano attua anche una politica di relazioni e solidarietà internazionale. Volontari italiani partecipano a progetti di riconciliazione e soluzione nonviolenta dei conflitti in luoghi difficili come Baghdad; dall’1 al 3 ottobre 500 attivisti si sono ritrovati nei giardini Abu Nawas, sulle sponde del Tigri a Baghdad, nel Forum Sociale Iracheno sulla Pace e la Coesistenza. E’ un modo per aiutare la nascita e lo sviluppo dei movimenti nonviolenti anche in contesti di guerra.

Quinta traccia. Organizzazioni come la Conferenza nazionale degli degli Enti di servizio civile e il Forum nazionale Servizio civile, sono fortemente impegnate in un confronto con il governo per la riforma del Terzo settore, nella quale trovi spazio un servizio civile per tutti coloro che chiedono di parteciparvi, costruito con il coinvolgimento delle formazioni sociali e dei livelli istituzionali della Repubblica, in modo tale che i giovani del servizio civile siano protagonisti nell’attuare il dovere costituzionale della difesa della Patria, che non è solo difesa militare.

Sono solo cinque esempi. Molti altri se ne potrebbero fare. Chi vuole documentarsi seriamente può farlo anche consultando le riviste del movimento, come Azione nonviolenta e Mosaico di pace.

Ma non voglio eludere il punto decisivo del dibattito sul pacifismo: “come si fa, con la nonviolenza, a contrastare il terrorismo dello Stato Islamico?”. La domanda è seria, e necessita di una risposta seria. Non si è mai investito responsabilmente, dunque anche finanziariamente a livello istituzionale, per costruire strutture capaci di agire sul piano internazionale per superare positivamente i conflitti. Anzi, si è agito e finanziato esclusivamente un tipo di intervento, quello militare, insistendo soprattutto sui bombardamenti aerei. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: guerre diffuse in espansione, aumento del terrorismo che avanza. Allo stato attuale non abbiamo dunque nessuna consistente forza nonviolenta da mettere in campo, mentre l’unica risposta possibile, perché l’unica preparata, è quella militare, dei bombardamenti. A questo punto la domanda potrebbe essere rovesciata: “come si fa, con le bombe, a contrastare il terrorismo dello Stato Islamico?”, visto che dal 2001 ad oggi gli interventi militari hanno clamorosamente fallito l’obiettivo di debellare il terrorismo. Siamo dentro una tragica spirale: guerra, terrorismo, guerra, terrorismo. Per spezzarla la strada maestra è quella di prendere finalmente sul serio la nonviolenza e cominciare a praticarla anche sul piano della politica estera. Se non le guerre in corso, forse si riusciranno ad evitare le guerre del futuro.

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