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Archivi Mensili: Maggio 2017

Disobbedienza civile e nonviolenza oggi

23 martedì Mag 2017

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Un’intervista su Città Nuova

In memoria di Antonio Papisca

16 martedì Mag 2017

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Ha concluso oggi la sua vita terrena il prof. Antonio Papisca.

Gli siamo grati per il grande lavoro svolto, con umiltà, per i “diritti umani” e la “pace giuridica”. Lo ricordo con particolare affetto anche per la sua testimonianza al processo penale per il blocco ferroviario dei treni che portavano armi in Iarq. Anche per questo fummo assolti.

Riporto qui il suo intervento di allora. Era un uomo mite e forte. Ci mancherà.

I blocchi nonviolenti sono affermazione di legalità

NOTA DEL PROF.

ANTONIO PAPISCA

 

 

La guerra del Golfo è avvenuta nel momento in cui, crollati i muri e finita la contrapposizione ideologica e militare dei blocchi dell’Est e dell’Ovest, alta e diffusa era l’aspettativa dell’opinione pubblica in ordine al rilancio e al potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite in materia di sicurezza e di pace internazionali.

Nel famoso rapporto “Un’Agenda per la pace“, elaborato nel 1992 su richiesta del Consiglio di sicurezza, Boutros-Ghali asserisce, con estrema chiarezza, che è venuto meno l’alibi del bipolarismo dietro cui si erano fino ad allora trincerati gli Stati per non mettere l’ONU nella condizione di operare tempestivamente ed efficacemente.

Per il combinato disposto degli artt. 1, 2, 42, 43, e ss. della Carta delle Nazioni Unite e richiamando i princìpi di ius cogens che sottendono il diritto internazionale dei diritti umani – le cui fonti principali sono, oltre che la Dichiarazione universale del 1948, i due “Covenants” del 1966 rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, ratificati dall’Italia nel 1977 -, la guerra è in quanto tale vietata, anzi proscritta quale “flagello“.

A conferma di questo sta anche, specificatamente, l’art. 20 del citato Covenant sui diritti civili e politici, che stabilisce che “qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla legge“.

Ai sensi della Carta delle Nazioni Unite gli stati possono ricorrere, in via d’eccezione, a misure di “autotutela individuale e collettiva“, quale risposta immediata ad una aggressione armata in atto “fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale” (art. 51). Dunque, per il vigente ordinamento giuridico internazionale, l’autotutela armata, oltre che successiva, temporanea e proporzionata, è legittimata soltanto fino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia avuto il tempo di attivarsi in prima persona com’è, d’altronde, suo preciso obbligo istituzionale. Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è concepito in riferimento al principio di “autorità sopranazionale” delle stesse Nazioni Unite e comporta che gli stati adempiano all’obbligo giuridico, stabilito dall’art. 43 della Carta, di devolvere in via permanente all’ONU parte delle forze armate nazionali.

La fine del bipolarismo, come prima ricordato, rende ineludibile e urgente l’attuazione di quest’obbligo e quindi insostenibile il perdurare di comportamenti statuali non conformi alla legalità internazionale.

Quanto è avvenuto nel Golfo, in risposta all’aggressione armata perpetrata da Saddam Hussein ai danni del Kuwait, non risponde allo schema di uso della forza militare stabilito dalla Carta. All’invasione del Kuwait ha infatti immediatamente fatto seguito l’attivazione del Consiglio di sicurezza, culminata nella comminazione di pesanti sanzioni ai sensi dell’art. 41 della Carta. Il successivo, spettacolare intervento bellico della coalizione comandata dagli USA non risponde quindi ai requisiti dell’autotutela consentita, in via eccezionale e in termini di immediatezza, dall’art. 51.

Dal punto di vista della vigente legalità, il respingimento armato delle truppe di Saddam Hussein al di là dei confini del Kuwait avrebbe dovuto avvenire soltanto ad opera di una forza armata sotto comando diretto delle Nazioni Unite, per il perseguimento degli obiettivi consentiti alle Nazioni Unite che, giova ribadirlo, non possono essere di guerra (distruzione di territorio e di popolazione, il “nemico indistinto” da “debellare“), ma esclusivamente di polizia militare internazionale (cioè azione contro il “criminale” individuato in determinate persone e gruppi).

Il Parlamento italiano autorizzò la partecipazione armata dell’Italia alla coalizione comandata dagli USA nell’assunto che si trattasse di “azione di polizia delle Nazione Unite“. Invece fu guerra, non gestita dalle Nazioni Unite e senza, per parte italiana, la “dichiarazione di guerra” prescritta dall’art. 78 della Costituzione.

Il movimento per la pace italiano si mobilitò capillarmente, insieme con numerosissimi enti locali, facendosi appassionato assertore della legalità stabilita dalla Carta delle Nazioni Unite e quindi chiedendo a gran voce che l’Italia e gli altri stati adempissero agli obblighi a suo tempo sottoscritti con la ratifica della Carta.

Tutti ricordiamo il clima belligeno, angosciante, violento instauratosi nel paese con l’ausilio dei mass-media, in particolare della televisione: ci fu una vera e propria propaganda di guerra, nonostante l’esplicito divieto del citato art. 20 del Covenant internazionale sui diritti civili e politici. Nei dibattiti televisivi non fu consentita, come da molti richiesto, l’interpretazione puntuale della Carta delle Nazioni Unite e dei pertinenti articoli della Costituzione italiana, in particolare degli artt. 11 e 78. Si attentò flagrantemente alla salute mentale e alla coscienza dei bambini e dei giovani e, più in generale, alla morale pubblica. Giova ricordare che Giovanni Paolo II insorse contro questa illegalità, gridando, con esteso seguito popolare, che la guerra è “avventura senza ritorno“. Dal canto suo in “Un’Agenda per la pace” il Segretario Generale delle Nazioni Unite scrive che l’art. 42 della Carta, che prevede le operazioni militari direttamente gestite dall’ONU, non ha finora trovato attuazione in nessuna occasione, con ciò smentendo autorevolmente e definitivamente quanti sostennero che nel Golfo si realizzò una “operazione di polizia delle Nazioni Unite“.

Negli anni successivi al 1991, il movimento per la pace italiano ha continuato nell’impegno teso a elucidare la Carta delle Nazioni Unite e le convenzioni internazionali sui diritti umani e a diffonderne i valori e i principi. A dimostrazione di questo importante impegno civile, giuridico e politico di società civile, sta la grande mobilitazione popolare del 1995 – 50° anniversario delle Nazioni Unite – culminata nella marcia della pace Perugia-Assisi all’insegna di “Noi popoli delle Nazioni Unite” (24 settembre 1995). In questa occasione sono state avanzate al governo italiano puntuali proposte per il potenziamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite. Si è in particolare chiesto che l’Italia adempia a quanto previsto dall’art. 43 e devolva quindi all’ONU una parte delle proprie forze armate perché siano definitivamente riconvertite in forze di polizia militare delle Nazioni Unite. In data 18 ottobre 1995, è stata presentata in Parlamento, per iniziativa di esponenti dei vari gruppi politici, una mozione parlamentare che recepisce, per esplicita dichiarazione, le principali proposte della “Perugia-Assisi”

Il 24 ottobre del 1996, in occasione della celebrazione della giornata delle Nazioni Unite svoltasi nella Sala del Cenacolo (Camera dei Deputati) su iniziativa del movimento pacifista, il Presidente della Commissione Estera della Camera ha dichiarato che il futuro dell’ONU è oggi al centro della politica estera italiana e che l’Italia è pronta a dare adempimento a quanto previsto dall’art. 43 della Carta. In questo stesso senso si è dichiarato il Ministro degli Esteri Dini, pronunciando il suo discorso alla 51a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Dunque, quanto oggi ufficialmente perseguito dallo Stato italiano, fu chiesto dai pacifisti all’epoca della guerra del Golfo. Sicché le dimostrazioni nonviolente di allora devono, per verità storica, essere intese non solo come affermazione di legalità internazionale, non solo come feconda lezione di etica universale, ma anche come illuminata anticipazione politica dei legittimi comportamenti governativi ora richiamati

Padova, 26 gennaio 1997

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