Intervista Mao Valpiana sulla campagna antimilitarista e nonviolenta

1) Il prossimo 15 dicembre saranno 50 anni dall’approvazione della prima legge per l’odc al servizio militare. Nonostante i suoi molti limiti – dal “tribunale della coscienza” dei militari che doveva giudicare la genuinità delle motivazioni dell’obiettore, alla “punizione” della durata del servizio civile più lunga rispetto al militare – credo che si sia trattato di una legge molto importante per il movimento per la pace. Sei d’accordo? Perché?

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge, Azione nonviolenta (dicembre 1972) titolava “Votata la legge truffa sull’obiezione di coscienza”, con il sottotitolo “Chi per grazia sovrana verrà ammesso a compiere il servizio civile alternativo, dovrà pagarla con una ferma maggiorata di 8 mesi, rimanendo in più sempre soggetto a tutti gli effetti, quale «soldato distaccato», alla giurisdizione militare”. Per rendere ancor meglio il giudizio fortemente critico e negativo sull’impianto della soluzione legislativa, mantenendo l’attenzione sul punto decisivo della questione antimilitarista posta dall’essenza stessa dell’obiezione di coscienza, Pietro Pinna (l’estensore dell’articolo, presentato come editoriale non firmato), faceva questo passaggio:

Ecco quindi che, alla luce di questa logica, un Parlamento il quale doveva riconoscere il diritto, aperto a tutti, ad obiettare, ad atteggiarsi conformemente al ripudio di un modo politico retto su strutture di guerra, vota una legge che si traduce e serve al suo opposto, cioè a statuire il reato dell’obiezione di coscienza. Non c’è, ripetiamo, da farsi meraviglia di quest’esito, abnorme e logico insieme, da parte di un Parlamento composto di forze politiche che, dalla prima all’ultima, di destra e di sinistra, sono tutte concordi sul principio sommo (per il potere) della necessità dell’apparato di guerra”. In sostanza si dice che non viene riconosciuta l’istanza fondativa dell’obiezione, cioè la messa in discussione radicale della struttura dell’esercito, come strumento di guerra. Tuttavia, dopo le dichiarazioni di principio, si riconosce che la legge apre comunque uno spiraglio che dovrà essere utilizzato per ottenere altri risultati, passando dalla testimonianza degli obiettori in carcere, alle lotte per la costruzione e la gestione del servizio civile.

Ma pure in termini pratici, di lotta, questa legge-truffa può dar adito ad un processo positivo (…) Ora che la legge c’è e non offre che una alternativa mistificata, moltissimi giovani dovranno confrontarcisi e sciogliere senza rinvii il nodo della scelta”.

E infatti, furono proprio il Movimento Nonviolento ed il Partito Radicale – protagonisti della lotta e del digiuno per ottenere la legge – a fondare e sostenere la Lega degli Obiettori di coscienza, che dal 1973 in poi gestì la nascita e la crescita del servizio civile come pratica di impegno per il movimento pacifista dentro la società.

2) Quali sono stati gli effetti di quella legge sulla società italiana?

Il servizio civile, così come si è sviluppato in Italia e come lo conosciamo ancora oggi, è stato una “invenzione” degli obiettori stessi. Lo stato aveva predisposto un servizio civile nazionale unico, che immaginava nel corpo (allora militarizzato) dei pompieri, o vigili del fuoco. Gli obiettori rifiutarono, non rispondendo alla chiamata, e contrapposero invece un servizio civile diversificato, da attuarsi negli Enti del privato sociale (assistenziali, culturali, ambientali, sindacali, ecc.) che si convenzionavano con il Ministero della Difesa per accogliere gli obiettori nelle loro sedi diffuse su tutto il territorio nazionale. Dopo le prime resistenze da parte dell’amministrazione militare, passò e si diffuse questo modello di servizio civile, che presto divenne uno dei più avanzati d’Europa.

L’obiettore di coscienza (fino al 1972 considerato un avanzo di galera) in pochi anni divenne una figura riconosciuta che lavorava nel territorio a fianco degli ultimi. Enti o Associazioni importanti, come la Comunità di Capodarco, l’Istituto don Calabria, l’Ospedale Psichiatrico di Basaglia, accolsero per primi gli obiettori, e “sdoganarono” questa figura dandone un’immagine positiva.

Già nei primi anni ‘80 l’obiettore di coscienza copriva un ruolo importante, e anche gli Enti pubblici, come i Comuni, iniziarono ad utilizzare questa risorsa, riconoscendo di fatto la positività non solo del servizio civile, ma anche dell’obiezione di coscienza stessa, come opzione culturale.

3) La fine della leva obbligatoria è stata una vittoria per il movimento? Oppure l’esercito dei professionisti ha provocato una serie di conseguenze negative – a cominciare dall’aumento delle spese per gli armamenti – di cui ancora oggi vediamo (e paghiamo) le conseguenze?

La leva obbligatoria è un’invenzione napoleonica, che rispondeva alla concezione “moderna” della guerra su larga scala. Dopo la prima guerra mondiale (sostanzialmente ancora una guerra di posizione, giocata sulla conquista territoriale, da trincea a trincea) e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale (giocata prevalentemente sui bombardamenti aerei e sulle armi strategiche), cambia nei fatti anche la concezione della guerra stessa, sempre più sofisticata, sempre più tecnica, sempre più professionale. La leva popolare quindi ha un suo naturale decadimento, che lascia il posto al professionismo militare. Diminuisce il numero dei soldati, ma cresce la spesa. La sospensione dell’obbligo (cioè della schiavitù militare) è per noi certamente un fatto positivo per le singole persone, anche se questo non cambia di una virgola il male della struttura militare di preparazione e attuazione della guerra, che per certi versi diventa ancor peggiore.

4) C’è una “terza via” fra esercito di leva e dei professionisti?

La nostra prospettiva resta quella del disarmo unilaterale; quindi per noi la via è quella dell’abolizione degli eserciti.

5) Con la “sospensione” della leva obbligatoria, non si parla più di odc, che invece, a mio avviso, resta un valore da rilanciare. E senza scomodare don Milani, basta vedere quello che sta succedendo oggi nella guerra in Ucraina, con migliaia di obiettori, di cui però i grandi mezzi di informazione preferiscono non dire nulla. Cosa ne pensi?

Sono d’accordo con te. L’obiezione di coscienza resta un caposaldo della nonviolenza. Prima ancora di fare del bene è importante non collaborare con il male, diceva il Mahatma Gandhi. I ragazzi russi e ucraini che rifiutano le armi (rischiando di persona, affrontando il carcere e il disprezzo), sono gli unici che si sottraggono alla guerra e prefigurano una via di pace. I mezzi di informazione di massa non ne parlano perché sanno che il loro esempio sarebbe contagioso (così come lo fu per molti ragazzi americani ai tempi del Vietnam). Ogni recluta può essere un obiettore di coscienza, ogni soldato un disertore. Dobbiamo aiutare e sostenere ogni singolo obiettore, dell’una e dell’altra parte: patrioti disarmati che non vogliono odiare la patria altrui.

6) Quella fiscale contro le spese militari poterebbe essere una campagna di obiezione da rilanciare oggi? (ovviamente assumendosene le responsabilità, come succedeva prima del 1972 per il militare)

Purtroppo il sistema tributario odierno, con la tassazione alla fonte, non permette più una vera e propria obiezione fiscale alle spese militari, come si poteva fare con la Campagna che mettemmo in atto dal 1981 al 1998. Tuttavia nella nostra proposta di legge per la Difesa civile non armata e nonviolenta (sostenuta dalla campagna Un’altra difesa è possibile), è prevista la possibilità dell’opzione fiscale, cioè la possibilità per il cittadino contribuente di scegliere se finanziare la difesa armata o la difesa nonviolenta. Dobbiamo impegnarci affinché questa prospettiva diventi politicamente realizzabile.

7) Dopo la manifestazione nazionale del 5 novembre, è ipotizzabile la ripresa di un movimento per la pace che possa contare su “grandi numeri”? Oppure dal 2003 (il momento pacifista “superpotenza mondiale”, come scriveva qualcuno) a oggi sono cambiate troppe cose e quella situazione non è più proponibile? Perché?

Portare più di 100.000 persone in piazza, coinvolgendo oltre 600 organizzazioni, è stato un risultato politico importante. Soprattutto perché la manifestazione del 5 novembre a Roma non è un fatto isolato, ma fa parte di un percorso che è partito da lontano, da quando – con l’Arena di pace e disarmo del 2014 – è iniziato il processo di costruzione della Rete italiana Pace e Disarmo che dà voce ad un movimento pacifista finalmente maturo (che non si accontenta di slogan o ritualità) che è anche un soggetto politico autonomo ed indipendente. La mobilitazione permanente in atto che ora si riconosce nel cartello “Europe for Peace”, ha l’ambizione di mettere in campo un movimento europeo che possa essere interlocutore di partiti, governi e diplomazie per la costruzione di una Agenda di pace. Il movimento pacifista è già maggioritario nell’opinione pubblica.

Mao Valpiana

Presidente del Movimento Nonviolento

Esecutivo di Rete italiana Pace e Disarmo

foto di riccardo lorenzi

Domande di Luca Kocci (Adista)

risposte di Mao Valpiana

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