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Primavera della Nonviolenza, la preghiera del Papa , l’utopia di Lennon

01 sabato Apr 2023

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Gandhi, John Lennon, Papa Francesco

Il Papa ha affidato le sue intenzioni alla “Rete mondiale di preghiera”. Una intenzione al mese, per tutto l’anno. Aprile è il mese dedicato alla preghiera “Per una cultura della nonviolenza”.

In tutte le chiese cattoliche, durante le messe, si pregherà così: “Preghiamo per una maggiore diffusione di una cultura della nonviolenza, che passa per un sempre minore ricorso alle armi, sia da parte degli Stati che dei cittadini”.

Papa Francesco scrive correttamente “nonviolenza”, parola unica, come stabilito da Aldo Capitini per tradurre bene in italiano il “satyagraha” di Gandhi, la forza che è insita nella Verità. Nonviolenza, dunque, per usare le stesse parole di Francesco, come “stile di una politica per la pace”. Ora il Pontefice si augura che la cultura della nonviolenza (storicamente sperimentata e teorizzata da L. Tolstoj, M.K. Gandhi, K.A. Ghaffar Khan, M.L. King, e nella tradizione cattolica da Gesù, Francesco d’Assisi, e poi nei tempi moderni da Giovanni XXIII e Madre Teresa di Calcutta) si diffonda sempre più e per questo ha dato vita al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, per promuovere la pace in tutti gli ambiti dell’esistenza pubblica e sociale.

Ma la cultura della nonviolenza, per trovare spazio, deve contrastare la cultura della violenza, delle armi, della guerra.

È un programma impegnativo, che punta direttamente alla riduzione degli armamenti, dunque delle spese per la difesa, sia collettiva che personale. Meno armi per gli eserciti, meno armi nelle case. Sarebbe già un bel passo in avanti: un obiettivo politico realistico, non un’utopia irenica.

Le parole che il Papa ha usato nel video che accompagna l’intenzione di preghiera sulla Nonviolenza, sono ben ponderate: “ogni guerra, ogni scontro armato, finisce con l’essere sempre una sconfitta per tutti; anche nei casi di legittima difesa, l’obiettivo è la pace. Una pace duratura può essere solo una pace senza armi”.

Per capire il pieno e profondo significato delle scelte di preghiera del Papa, bisogna scorrere anche le altre intenzioni, mese dopo mese, e ne esce un mosaico che dà bene l’idea che Francesco ha della nonviolenza. Nel corso dell’anno si prega per gli educatori alla fraternità anziché alla competizione, per le vittime di abusi, per l’abolizione della tortura, per gli emarginati, per l’inclusione delle persone con disabilità. Il mese di novembre il Papa lo riserva alla preghiera per se stesso, per essere aiutato nella sua missione.

Passando dal sacro al profano, è significativa la coincidenza che esattamente 50 anni fa un altro leader pacifista, laico, scelse il mese di aprile per lanciare il suo messaggio nonviolento.

Era il primo aprile del 1973 quando John Lennon, in una affollatissima conferenza stampa a New York, annunciò la nascita di un paese concettuale, Nutopia: uno stato senza terra, né confini, né passaporti, senza esercito, solo persone, basato esclusivamente sulle leggi cosmiche. La bandiera di Nutopia è un fazzoletto bianco, e l’inno è una traccia muta con 5 secondi di silenzio. Lennon, come suo ambasciatore, chiese l’immunità diplomatica e il riconoscimento alle Nazioni Unite del paese di Nutopia e del suo popolo, formato da tutti coloro che vogliono farne parte.

C’è un filo culturale e spirituale che lega l’idea di Nutopia alla Rete mondiale di preghiera: la diffusione della cultura della nonviolenza, da John Lennon a Papa Francesco, oggi coinvolge credenti e atei, religiosi e laici.

Per Gandhi la preghiera è una forza di azione nonviolenta: “Credo che la preghiera silenziosa sia spesso una forza più potente di ogni atto. La preghiera è come ogni altra azione, porta frutto, che ce ne accorgiamo o no, e il frutto della preghiera sincera è assai più potente della cosiddetta azione. Propriamente compresa e applicata, la preghiera è lo strumento d’azione più potente”.

Le vie della nonviolenza sono infinite.

Tagliare le spese militari, finanziare politiche di pace

22 mercoledì Dic 2021

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Costituzione, Gandhi, Gorbaciov, Mohandas K. Gandhi, Nobel, ONU, Papa Francesco, Reagan, Rete Pace e Disarmo, Sbilanciamoci!, Un'altra difesa è possibile

L’appello dei Nobel, le parole del Papa, le Campagne per il disarmo

di Mao Valpiana *

L’appello di 50 premi Nobel e accademici “Una semplice concreta proposta per l’umanità”, ha un grande merito: quello di aver posto al centro dell’agenda politica globale la necessità della riduzione delle spese militari. L’obiettivo è ragionevole e possibile: un negoziato comune tra tutti gli Stati membri dell’ONU per ridurre del 2% ogni anno, per 5 anni, le spese belliche di ciascun paese, liberando così un “dividendo di pace” di 1000 miliardi di dollari entro il 2030.

Questa proposta si va ad aggiungere e rafforza altre proposte avanzate negli anni nella stessa direzione: Papa Francesco ha scritto nell’Enciclica Fratelli tutti: “E con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri”. E in occasione della Giornata mondiale della Pace del 1° gennaio 2022, Papa Francesco ribadisce: “È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio”.

La Campagna mondiale GCOMS (Global Campaign on Military Spending – campagna internazionale sulla spesa militare), promossa dall’International Peace Bureau (IPB, Premio Nobel per la Pace 1910) si pone come finalità principale la richiesta urgente di uno spostamento di fondi (almeno il 10% annuo) dai bilanci militari verso la lotta contro la pandemia da Covid-19 e il rimedio alle crisi sociali e ambientali che colpiscono vaste aree del mondo.

Dunque, la direzione da intraprendere è condivisa, ma qual è la strategia efficace per raggiungere l’obiettivo? I premi Nobel propongono un approccio multilaterale, negoziati razionali per una riduzione comune e concomitante che mantenga l’equilibrio e la deterrenza; il beneficio di questa cooperazione deriva da un fondo globale utilizzato per affrontare i problemi comuni (riscaldamento climatico, pandemia, povertà) e da una parte di risorse lasciate a disposizione dei singoli governi per reindirizzare la ricerca militare verso applicazioni pacifiche. È una strada realistica? C’è davvero la volontà politica di tutte le nazioni di scegliere il disarmo controllato e bilanciato? La storia degli accordi bilaterali di disarmo INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) e START (Strategic arms reduction treaty) tra USA e URSS, negli anni ‘80, per il ritiro delle armi nucleari strategiche, dimostra che la strada del disarmo è possibile, praticabile e può dare risultati. Dopo le delusioni per i continui rinvii e fallimenti degli accordi SALT (Strategic Arms Limitation Talks) degli anni ‘70, il rapporto cambiò per la disponibilità al dialogo tra Reagan e Gorbaciov, ma furono i passi unilaterali di Gorbaciov ad imporre un clima di fiducia e dunque la fine della guerra fredda: Gorbaciov annunciò una moratoria unilaterale sui test di armi nucleari ed il 1° gennaio 1986 avanzò una proposta per la messa al bando di tutte le armi nucleari entro il 2000; nel dicembre 1988 fu ancora Gorbaciov ad annunciare alle Nazioni Unite un ritiro unilaterale di 50.000 soldati dall’Europa orientale e la smobilitazione di 500.000 truppe sovietiche. Nel 1990 Gorbaciov ricevette il premio Nobel per la Pace “per il suo ruolo di primo piano nel processo di pace”. Ci vuole sempre chi inizia facendo il primo passo.

Gandhi diceva che la dottrina della nonviolenza resta valida anche tra Stati e Stati: “prima del disarmo generale qualche nazione dovrà iniziare a disarmarsi; il grado della nonviolenza in quella nazione si sarà elevato così in alto da ispirare il rispetto di tutte le altre”.

Proprio per rafforzare e iniziare a praticare l’appello dei Nobel, del Papa, e delle Campagne disarmiste sostenute dall’opinione pubblica, ci vuole chi fa un primo passo, che sarà seguito da passi altrui. L’Italia può dare un esempio virtuoso, senza mettere in discussione la sua politica di difesa e sicurezza garantita dall’articolo 52 della Costituzione, ma ottemperando al dettame di ripudio della guerra dell’articolo 11: applicare una “moratoria” sulle spese aggiuntive dei programmi per nuovi sistemi d’arma, un taglio di 5/6 miliardi da spostare subito su capitoli di spesa per politiche di pace e cooperazione. È quello che chiedono Rete Pace e Disarmo con Sbilanciamoci!, e che da anni sostiene la Campagna “Un’altra difesa è possibile” per il riconoscimento della Difesa civile non armata e nonviolenta (protezione civile, servizio civile, corpi civili di pace) da finanziare con fondi sottratti alle armi. Una proposta di Legge che istituisce il Dipartimento della Difesa civile non armata e nonviolenta è depositata in Parlamento; la sua discussione e approvazione in questa legislatura rappresenterebbe, insieme all’attuazione della moratoria per le spese di nuovi sistemi d’arma, quel “primo passo” nella giusta direzione della nostra nazione, che così potrebbe presentarsi al tavolo dell’Onu per sostenere con autorevolezza la “semplice concreta proposta per l’umanità” presentata dai premi Nobel.

Non c’è tempo da perdere. Bisogna fare presto a disarmare la guerra e finanziare la pace.

* Presidente nazionale del Movimento Nonviolento

Verona, 21 dicembre 2021

Il pugno di Bergoglio

18 domenica Gen 2015

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Buddha, Charlie Hebdo, Gandhi, nonviolenza, Papa Francesco, Vangelo, violenza

Anche il Papa è discutibile.

Una sua recente frase ha suscitato polemiche ed interpretazioni diverse. Qualcuno ha detto che il richiamo al “pugno” potrebbe essere inteso come legittimazione della violenza. A me non pare.

L’esegesi di un testo comincia dal contesto. In questo caso si tratta di un dialogo con i giornalisti, durante un lungo viaggio aereo. Dunque non una frase inserita in un’Omelia, o in un discorso ufficiale dal soglio di San Pietro, o in un’Enciclica, ma poco più che una chiacchierata. Un contesto “laico”, come spesso ci ha abituati Papa Francesco, avallando l’idea che il suo pensiero personale va disgiunto da quello della Dottrina.

Si sta parlando dei tragici fatti di Parigi, della strage alla redazione di Charlie Hebdo, della libertà di espressione e di satira anche sulla religione. La frase incriminata testualmente dice:

“… è vero che non si può reagire violentemente… ma se il dottor Gasparri, grande amico, dice una parolaccia contro la mia mamma… ma gli aspetta un pugno… è normale … non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri …”.

Una reazione forte, di rabbia, per un torto subito. Il Papa non dice che bisogna fare così, che è giusto, dice solo che è normale reagire così, che è umano.

D’altra parte proprio nel Vangelo di Giovanni si racconta dell’ira di Gesù a Gerusalemme, che andò oltre il pugno, usando la frusta:

“Trovò nel tempio i venditori di buoi, di pecore e di colombe e i cambiavalute seduti, e fattasi una frusta di funicelle scacciò tutti dal tempio, anche le pecore e i buoi, disseminò il denaro dei cambiavalute, rovesciò i banchi e disse ai venditori di colombe: «Portate via questa roba di qui e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”. Una reazione forte, fortissima, per protestare contro la profanazione del Tempio, cioè della fede.

Questo episodio di violenta reazione di Gesù, trovò l’ammirazione perfino di Gandhi. Lo racconta lui stesso, e spiega il perchè:

“Buddha portò coraggiosamente la guerra nel campo nemico e mise in ginocchio il clero arrogante. Gesù scacciò i cambiavalute dal tempio e invocò la maledizione del cielo su ipocriti e farisei. Entrambi propugnarono un’azione intensamente diretta. Ma anche quando Buddha e Cristo punirono, in ogni loro atto manifestarono una dolcezza e un amore inequivocabili”. E’ lo spirito d’amore con il quale si compie il gesto, che definisce la bontà o meno del gesto stesso. Gandhi lo spiega anche con un altro esempio calzante, questa volta prendendo a campione lo schiaffo:

“In una famiglia, quando il padre dà uno schiaffo al figlio colpevole, questi non pensa di rendere la pariglia. Ubbidisce a suo padre non per l’effetto dissuasivo dello schiaffo, ma per l’amore offeso che vi intuisce. Questa secondo me è un’epitome del modo in cui la società è o dovrebbe essere governata. Quello che è vero della famiglia, deve essere vero della società, la quale non è che una famiglia più grande”.

Sento, in questi racconti e parabole di Gesù e Gandhi, una grande libertà interiore, tenerezza e compassione per l’umanità, al di là di norme e regole, di moralismi e dogmi. La nonviolenza del Vangelo scardina ogni fondamentalismo che assolutizza la Legge. Ciò che davvero conta è solo l’amore, la “carità” direbbe San Paolo (“la carità è paziente, è benigna la carità; la carità non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità; tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”).

E dunque con questo metro di giudizio una parola può essere violenta se detta senza carità, e un pugno può essere amorevole se mosso da carità (pensiamo alle famose “cinghiate” date da don Lorenzo Milani ai suoi amatissimi figlioli di Barbiana).

Sto rischiando la blasfemia nonviolenta?

Il punto è stabilire un limite. Ma chi può e dove si può stabilire il limite dell’astensione dalla violenza? La stessa domanda se l’è posta Gandhi, che si è dato questa lungimirante ed illuminante risposta:

“Il limite non può essere lo stesso per tutti. Infatti, benchè il principio sia essenzialmente il medesimo, tuttavia ciascuno o ciascuna lo applica a suo modo. Quello che è cibo di uno, può essere veleno per un altro. Mangiare carne per me è peccato. Ma per un’altra persona che è sempre vissuta di carne e non vi ha mai visto nulla di male, sarebbe peccato rinunciarvi semplicemente per imitarmi. Se voglio fare l’agricoltore e vivo nella giungla, dovrò usare un minimo inevitabile di violenza per proteggere i miei campi. Dovrò uccidere scimmie, uccelli e insetti che divorano il mio raccolto. Permettere in nome della nonviolenza che i raccolti vengano divorati dagli animali mentre nel Paese c’è la carestia, è peccato. Il bene e il male sono termini relativi. L’uomo non deve annegare nel pozzo delle shastra (regole), ma tuffarsi nel vasto oceano e trarne perle. A ogni passo usare il suo discernimento per stabilire che cosa sia ahisma (nonviolenza) o hisma (violenza)”.

Io leggo così questo pensiero gandhiano: se ne hai la forza rispondi alla violenza porgendo “l’altra guancia”, altrimenti trova un tuo modo di reagire che sai sostenere, purchè teso alla nonviolenza.

Sono grandi insegnamenti di laicità, che ci vengono proprio da chi ha vissuto fino in fondo una fede profonda nell’umanità. Gandhi ha sempre lottato contro i fondamentalismi. Ha combattuto il fondamentalismo islamico, è morto per mano di un fondamentalista indù, e ci ha messi anche in guardia dal fondamentalismo nonviolento (rischio sempre possibile).

Dunque libertà e laicità, che sono l’esatto contrario di oscurantismo e clericalismo, sono valori vissuti con profonda fede da chi sperimenta fino in fondo la condizione umana, aperta a tutti; e proprio per questo agisce senza nascondere i limiti della propria umanità.

Proseguendo il dialogo con i giornalisti Papa Francesco, o meglio Jorge Mario Bergoglio, ha confessato un’altra propria debolezza, in relazione alla possibilità di attentati alla sua persona: “Ho paura? Alcune volte mi sono chiesto: ma se accadesse a me questo? E ho detto al Signore: ti chiedo solo una grazia, che non mi faccia male perché non sono coraggioso di fronte al dolore, sono molto timoroso. So che sono nelle mani di Dio ma so anche che si prendono delle misure di sicurezza prudenti ma efficaci. Per il resto: speriamo!”. Ci possiamo riconoscere tutti in questa candida fragilità. Il coraggio non è non avere paura, ma avere paura e andare avanti lo stesso.

Ecco, il pugno di Bergoglio, dato con tenerezza, mi appare come un paradosso per affermare che la nonviolenza è davvero “forza e amore ”, accessibile a tutti, con i nostri limiti e contraddizioni.

Mi sia concesso di concludere questo scritto con la leggerezza che viene dal senso umoristico che mai dobbiamo perdere (siamo partiti da Charlie Hebdo). Come nei temi delle scuole medie chiudo con la citazione di una canzone di Adriano Celentano: “… e quando mezzanotte viene / se davvero mi vuoi bene / pensami mezz’ora almeno / e dal pugno chiuso / una carezza nascerà”.

https://www.youtube.com/watch?v=M5IbTyUoHRY&list=RDM5IbTyUoHRYpapa-pugno

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