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Archivi tag: Pietro Pinna

Sulla Marcia, dei pregi e dei difetti (ad un mese dalla Perugia-Assisi)

07 mercoledì Nov 2018

Posted by maovalpiana in Nonviolenza, Uncategorized

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Aldo Capitini, Assisi, Movimento Nonviolento, Perugia, Pietro Pinna, Rete della Pace

Ad un mese dalla Perugia-Assisi del 7 ottobre 2018 è bene fare qualche considerazione su come sta proseguendo la nostra marcia …

La grande partecipazione all’iniziativa, nel cinquantesimo anniversario della morte terrena di Aldo Capitini, ideatore e promotore della prima marcia, ha confermato la necessità per il più vasto movimento per la pace di avere luoghi di incontro e azione comuni. La Perugia-Assisi è stata storicamente, proprio grazie alla prima edizione capitiniana del 1961 (che doveva essere un “unicum”) e alla sua ripresa dopo 17 anni, nel 1978 per volere di Pietro Pinna e del Movimento Nonviolento, la vetrina nella quale il pacifismo italiano espone la propria immagine e le proprie proposte al paese. La marcia, infatti, non è la passeggiata per stare bene con gli amici, non è il corteo per contare se si è in tanti, non è la processione per rinnovare una tradizione, ma è il momento, forse unico, in cui l’opinione pubblica può vedere il movimento per la pace riunito, riconoscerlo e valutare la sua capacità di dialogo con la politica e le istituzioni.

La marcia del 2018 non aveva un obiettivo specifico, unitario, definito, una campagna unificante da proporre, e questo è certamente un errore. Gruppi, movimenti, reti, hanno saputo positivamente esprimere le tante iniziative in corso, ma non si è riusciti a parlare con voce unica. E’ stato un coro polifonico, dal quale comunque è emersa una tematica prevalente, riferita all’attualità politica: l’immigrazione. Gli slogan più diffusi erano “ponti, non muri” e “porti aperti, non confini”, a significare che la marcia di fatto ha avuto anche un carattere antigovernativo. Le 70.000 persone partecipanti (questo il numero più vicino alla realtà) hanno saputo esprimere una grandissima energia, una partecipazione vivace e consapevole, arricchita dalla notevole presenza di giovani e giovanissimi; è mancato però il contenitore dove riporre e valorizzare tanta ricchezza; la domanda espressa non ha ancora trovato una risposta in grado di indirizzare e dare sbocco politico.

I due appelli “ufficiali” letti al termine della marcia, non hanno saputo interpretare nemmeno ciò che la marcia aveva comunque espresso, e non hanno saputo dare nessuna indicazione pratica sul “dopo”. L’appello “Nessuno deve essere lasciato solo!” è una dichiarazione di impotenza: “cerchiamo assieme le soluzioni dei problemi che non sono ancora state trovate e intraprendiamo nuove iniziative per attuarle“, concludendo con l’esortazione “Miglioriamo i nostri pensieri!“. L’altro appello “Il manifesto della cura” fornisce indicazioni ancor più vaghi, inafferrabili: “trovare la clorofilla spirituale che tiene alla ricerca delle cose buone con un pensare sensibile e un sentire limpido“. Evidentemente c’è bisogno di ben altro, e per fortuna i marciatori si sono dimostrati molto più avanti della marcia stessa. Dal meeting per la pace che si è svolto nei giorni precedenti la Marcia, a cura della Rete della Pace, sono emerse pratiche, esprienze e progetti che possono andare a costituire quella Agenda della pace di cui tutti i marciatori hanno sentito il bisogno: –taglio delle enormi spese militari -uscita dal programma di acquisto degli F35 -messa al bando delle armi atomiche -riconversione civile dell’industria bellica -stop all’esportazione di armi che creano morte, migrazioni forzate e profughi che fuggono dalle guerre. I progetti per ricostruire una politica di pace e giustizia sono contenuti nella campagna “Un’altra difesa è possibile”: spostamento delle risorse dal bilancio militare alla difesa civile, non armata e nonviolenta, per i corpi civili di pace, la protezione civile, il servizio civile universale, un Istituto di ricerche per il disarmo.

La priorità è convergere sempre di più su obiettivi comuni, riconoscere la necessità di una campagna coordinata, rafforzare una Rete della pace che sappia dare un senso politico unitario al lavoro che tantissimi fanno sui territori. Solo così la prossima Marcia, magari autoconvocata, proprio perchè di tutti e per tutti, avrà un senso.

Mao Valpiana

presidente del Movimento Nonviolento

Verona, 7 novembre 2018

La coscienza dice no. Obiezione ieri, oggi, domani.

15 mercoledì Mag 2013

Posted by maovalpiana in Nonviolenza

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Aldo Capitini, Azione nonviolenta, Beatles, Lev Tolstoj, LOC, Mohandas K. Gandhi, Movimento Nonviolento, obiezione di coscienza, Pietro Pinna

Di Mao Valpiana *

Una sera d’inverno del 1891, a Mosca, il conte Leone Tolstoj vide una guardia municipale che trattava brutalmente un mendicante. Egli interpellò il funzionario chiedendogli: “Hai mai letto il Vangelo?”. Al che il poliziotto rispose: “E tu, non conosci il nostro regolamento?”.

Tutto il problema dell’obiezione di coscienza è contenuto, in piccolo, in questo dialogo.

Quando la regola sociale non coincide con la regola morale, si creano le condizioni dell’obiezione di coscienza. Il contenuto fondamentale dell’obiezione di coscienza è il rifiuto di una legge, o di un ordine costituito, quando questi vogliono nascondere o far accettare situazioni di violenza, di ingiustizia o di oppressione.

1968. E’ l’anno della contestazione, quella violenta e quella nonviolenta.

E’ l’anno della guerra nel Vietnam, della strage di My Lai – l’anno del maggio francese e della primavera di Praga – l’anno dell’assassinio di Martin Luther King e di Robert Kennedy – in Italia è l’anno degli scontri all’Università di Roma a Valle Giulia, delle proteste alla Scala di Milano e alla Bussola in Versilia – nella chiesa cattolica soffia il vento del Concilio Vaticano II, dei preti operai, delle comunità di base, della scuola di Barbiana – è l’anno in cui muore Aldo Capitini.

A quell’epoca l’obiezione di coscienza era totalmente avversata, considerata un reato, e quindi ne veniva impedita ogni forma di propaganda. Il GAN, coordinato da Pietro Pinna (primo obiettore di coscienza e animatore con Capitini del Movimento Nonviolento), voleva sensibilizzare l’opinione pubblica al problema dell’obiezione e del rifiuto della guerra, con un contatto diretto attraverso manifestazioni di piazza: per questo i partecipanti esaminarono bene le disposizioni di legge che regolavano le manifestazioni pubbliche, si accordarono sulla disciplina nonviolenta da tenere durante l’azione, e prepararono cartelli e volantini da distribuire. Le questure vietavano le manifestazioni, che però venivano svolte ugualmente (in base al principio costituzionale della libertà di espressione) e quindi immediatamente represse. Per la prima volta in Italia viene messa in atto la resistenza nonviolenta passiva: i manifestanti si riunivano in una piazza cittadina –dopo averne dato comunicazione alle forze dell’ordine – iniziavano a distribuire il materiale informativo sull’obiezione di coscienza, e all’ordine della polizia di interrompere il volantinaggio e di disperdersi, si sedevano compostamente a terra e si lasciavano trascinare a corpo morto dagli agenti che li portavano in questura denunciandoli per manifestazione non autorizzata. Le azioni tuttavia si ripetevano, con metodi rigorosamente nonviolenti, mettendo in evidenza l’assurdità e l’ingiustizia del divieto poliziesco, fino a guadagnare la stima e persino la simpatia di una parte dell’opinione pubblica. Alla fine, la questura dovette desistere, ed il diritto di manifestare a favore dell’obiezione di coscienza venne conquistato.

Se la nonviolenza di Mohandas Gandhi (1869-1948) aveva già allora cittadinanza politica anche in Italia, lo si doveva proprio ad Aldo Capitini (1899-1968), filosofo, e al suo grande lavoro intellettuale e di promotore sociale. Senza l’opera culturale di Capitini, la figura di Gandhi probabilmente sarebbe rimasta confinata solo nell’ambito religioso.

Già negli anni trenta l’antifascista Capitini scopre la dimensione politica di Gandhi (allora impegnato nella Marcia del Sale) e intravvede nella non-collaborazione la forza capace di sconfiggere l’oppressione del regime e la via della resistenza nonviolenta all’ormai prossimo conflitto mondiale. Capitini studia pensiero e azione del Mahatma e introduce nel dibattito etico-politico il discorso sui mezzi e fini, concentrandosi soprattutto sul “metodo” per condurre la lotta: “fra mezzi e fini vi è la stessa relazione che esiste fra seme e albero”. Durante il regime fascista Capitini diventa un punto di riferimento per molti giovani ma rimane isolato sul piano politico: “Mi decisi al vegetarianesimo nel 1932, quando, nell’opposizione al fascismo, mi convinsi che l’esitazione ad uccidere animali avrebbe fatto risaltare ancora meglio l’importanza del rispetto dell’esistenza umana”. Rovesciando l’antico detto latino “si vis pacem, para bellum” Capitini imposta il suo lavoro culturale sull’ipotesi “se vuoi la pace, prepara la pace” e diventa così il teorico dell’obiezione di coscienza.

E’ nel 1949, con la prima obiezione di coscienza antimilitarista di Pietro Pinna, che dal pensiero si passa all’azione. Il 6 febbraio di quell’anno Pinna viene incarcerato per rifiuto del servizio militare, che pur con molti dubbi e riserve aveva già iniziato. Il suo caso suscitò benefiche discussioni sul problema. Ci fu l’interessamento di persone della cultura e della politica (lo stesso Aldo Capitini, i parlamentari Calosso e Giordani, e molti altri) che seguirono il processo e sostennero le ragioni di Pinna, e si arrivò anche alla presentazione del primo progetto di legge il 23 novembre 1949, che però rimase al palo. Capitini da allora assume un impegno costante a sostegno degli obiettori, organizzando nel 1950 a Roma il primo convegno italiano sul tema; nel 1952, in occasione del quarto anniversario dell’uccisione di Gandhi, promuove un convegno internazionale per la nonviolenza. Al termine dei lavori costituisce un Centro di coordinamento internazionale per la nonviolenza, il nucleo di persone che avrebbero poi dato vita alla prima Marcia per la pace Perugia-Assisi nel 1961 e quindi al Movimento Nonviolento. Nell’incessante lavoro di diffusione della nonviolenza gandhiana, Capitini viene invitato a Barbiana da Don Lorenzo Milani, il quale poi si riferirà a Gandhi nella sua famosa lettera ai cappellani militari L’obbedienza non è più una virtù.

Quando Capitini muore il movimento studentesco e operaio sta preparando una stagione di lotte che affonda le radici ideologiche nel marxismo. La nonviolenza viene ignorata, quando non derisa o contrastata. Solo un drappello di giovani obiettori, fra cui alcuni cattolici, tiene vivo il riferimento a Gandhi. La battaglia civile per la legge sull’obiezione antimilitarista viene condotta con metodi nonviolenti da piccoli gruppi come il Movimento Nonviolento, il Movimento Internazionale della Riconciliazione e il Partito Radicale. I testi di Gandhi cominciano a trovare cittadinanza soprattutto in ambienti religiosi del dissenso cattolico.

Nelle caserme italiane alle reclute veniva imposta la “sfumatura alta” per contrastare la moda dei “capelloni” riferibile ai Beatles che cantavano e proponevano modelli di comportamento lontani dal mondo militare.

E i Beatles nel 1968 suonavano Revolution:

Dici che vuoi fare la rivoluzione
Bè, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Mi dici che è evoluzione
Bè, sai
Tutti noi vogliamo cambiare il mondo
Ma quando parli di distruzione
Tu sai che non devi contare su di me

Per cambiare il mondo e fare la sua personale rivoluzione, l’obiettore di coscienza si basa solo sulla forza della verità, sulle sue convinzioni etiche, religiose, civili, politiche. E’ una rivoluzione intima, persuasa. La sua è un’obiezione dall’interno, dopo aver accettato e svolto, con lealtà, il servizio militare. E’ il granello di sabbia che può far inceppare il meccanismo.

La sua è una rivoluzione nonviolenta che ha antiche radici profonde e nuovi giovani rami che crescono verso l’alto.

***

Vale la pena di riflettere su come è proseguita fino ad oggi la storia che i primi obiettori di coscienza hanno avviato.

L’obiezione, dopo la Legge

La Legge che riconosce per la prima volta in Italia l’obiezione di coscienza al servizio militare (odc) , e avvia il servizio civile sostitutivo, è stata approvata nel dicembre 1972, ventitre anni dopo il caso Pinna e quattro anni dopo il caso Bellettato.

Da allora (e fino alla sospensione della leva obbligatoria del 1 gennaio 2005), l’odc è stata però ridotta ad un affare privato tra gli obiettori e il Ministero della Difesa. Prima dell’approvazione di questa legge, quando gli obiettori venivano condannati ed andavano in prigione, ogni odc richiamava l’attenzione dell’opinione pubblica e imponeva il dibattito sui problemi nuovi che essa richiamava: il rifiuto della violenza, delle armi, della guerra.

Negli anni ’70-’71 la spinta antimilitarista sull’opinione pubblica è stata fortissima, soprattutto per il numero crescente di giovani, laici e cattolici, che rifiutavano di indossare la divisa, subivano il processo nei Tribunali militari e venivano condannati e rinchiusi nelle carceri militari di Peschiera, Gaeta, Forte Boccea.

Nel 1972 una notevole pressione dal basso (marce, manifestazioni, sit-in e un lungo digiuno di 39 giorni) costringe finalmente il Parlamento ad affrontare la discussione.

Si arriva così all’approvazione della legge Marcora del dicembre 1972, che è il primo riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza in Italia. Il 31 dicembre 1972 tutti gli obiettori ancora detenuti vengono scarcerati. La stampa sottolinea trionfalisticamente la “grande conquista di civiltà”. Ma così non era. Il numero di dicembre 1972 di “Azione nonviolenta” titolava “Votata la legge truffa”. Quegli stessi obiettori, a cui questa legge apre le porte del carcere, sono i primi a restare insoddisfatti, a denunciarne i limiti, le contraddizioni, il carattere punitivo. Il servizio civile viene inteso come “sostitutivo” del militare, e non “alternativo”. Gli obiettori restano militarizzati e sottoposti al regime del Ministero della Difesa, considerati come cittadini di serie B.

La legge votata stabiliva in modo restrittivo: 1) i tempi entro i quali i giovani potevano dichiararsi obiettori e far domanda di riconoscimento sulla base di motivi religiosi, etici, morali; 2) l’accertamento della sincerità e fondatezza delle motivazioni affidato ad una commissione ministeriale; 3) l’obbligo di svolgere un servizio civile 8 mesi più lungo di quello militare.

Nel gennaio 1973 viene costituita la LOC (Lega Obiettori di Coscienza), nella cui Carta programmatica si legge: “Questa legge è inadeguata, repressiva, discriminatrice, punitiva, ma rappresenta una prima conquista che va utilizzata, violata, superata perché la lotta riprenda più dura, più vasta, meno costosa, e numericamente più consistente”.

La Commissione che in base alla legge deve accertare “la validità dei motivi addotti dagli obiettori”, riunitasi per la prima volta il 25 gennaio, su 29 richieste esaminate ne respinge 9, perché la loro domanda ricalcava un modello in cui si portavano motivazioni esclusivamente politiche. Agli stessi viene subito consegnata la cartolina precetto con l’invito a presentarsi al CAR di destinazione.

Su questo fronte decisiva è stata la reazione della LOC che, con iniziative che hanno ampio risalto sulla stampa italiana ed estera, costringe il Ministro della Difesa a ritirare le cartoline precetto agli obiettori non riconosciuti. In dicembre un centinaio di obiettori riconosciuti fino a quel momento ricevono la cartolina precetto con l’ordine di presentarsi presso i Vigili del fuoco per prestare il servizio civile sostitutivo. Da parte loro 40 obiettori comunicano al Ministro la loro indisponibilità a svolgere il servizio nei pompieri, chiedendo la piena applicazione della legge, che prevede diversi servizi sostitutivi adeguati alle capacità e disponibilità di ciascun obiettore.

Di fronte a questa decisa resistenza il Ministro revoca per tutti gli obiettori l’ordine di presentarsi, facendo capire di essere ormai disposto a stipulare le convenzioni, come previsto dalla legge.

E’ a questo punto che la LOC conquista per tutti gli obiettori il diritto all’autodeterminazione e autogestione del servizio civile. Il Ministero della Difesa cede, lasciando il servizio civile in completa gestione alla LOC, che si impegna a individuare forme di servizio civile adeguate presso enti e organizzazioni disponibili ad accogliere obiettori e a predisporre un programma.

Nei fatti si individuarono e si svilupparono tre filoni di servizio civile:

1) negli enti pubblici dove gli obiettori potevano inserirsi come “operatori sociali”;

2) nei sindacati, che offrivano agli obiettori ipotesi di lavoro allettanti;

3) negli enti privati e religiosi operanti nel campo dell’assistenza.

Per qualificare le prime esperienze di servizio civile, gli obiettori della LOC “inventano” i corsi di formazione. Come il servizio militare “raddrizza la schiena”, – si diceva-, così il servizio civile “raddrizzerà il cervello”. Nel periodo di formazione sarà l’obiettore stesso a confrontarsi con idee e proposte, a maturare la scelta di un servizio civile più adatto alle sue capacità e più rispondente alle sue aspirazioni.

Il primo corso di formazione, della durata di un mese, si tiene nel 1974 presso la Comunità di Capodarco di Roma. Obiettivo del corso è individuare un progetto di utilizzazione degli obiettori nel campo dell’assistenza. Tra i temi privilegiati del corso: analisi del potere militare e della sua ideologia, antimilitarismo, nonviolenza, politiche sociali ed economiche, problemi dell’assistenza e metodologie alternative, difesa dell’ambiente, animazione culturale.

Negli anni successivi, fino al 1978, ci furono molti altri corsi, per i quali si riuscì anche ad ottenere il finanziamento da parte del Ministero.

Nel decennio ’80-’90 il servizio civile si sviluppa sempre più quantitativamente, ma deperisce qualitativamente. Ogni anno cresce il numero di giovani che sceglie di svolgere il servizio civile, ma calano coloro che sono motivati come obiettori di coscienza al militarismo. Fare il servizio civile diventa un modo per “restare vicino a casa”, e via via si perdono per strada le motivazioni profonde dell’obiezione. Anche la LOC perde le caratteristiche di associazione antimilitarista e si trasforma quasi in un sindacato degli obiettori per rivendicazioni corporative.

Nel 1992 una nuova legge, già approvata dai due rami del Parlamento, venne bocciata in dirittura di arrivo dall’allora Presidente Cossiga, molto vicino agli ambienti militari, che si rifiutò di apporre la sua firma ad una legge che riconosceva i diritti degli obiettori. Dovranno passare altri sei anni perché si possa vedere, nel 1998, una vera novità nel campo dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. In quella data il Senato italiano approvò in via definitiva il testo della Legge di riforma dell’obiezione, che veniva a colmare le lacuna della vecchia Legge del 1972.

Dopo 25 anni di lotte c’è finalmente una “nuova legge” che riconosce l’obiezione di coscienza come “diritto soggettivo”. Il tribunale delle coscienze è abolito e più nessuno potrà valutare le motivazioni addotte dall’obiettore. Viene introdotta la formazione civica e di addestramento generale al servizio civile per gli obiettori. Il servizio viene scorporato dalle competenze del Ministero della Difesa. La legge istituisce ufficialmente anche la sperimentazione di forme nonviolente di soluzione dei conflitti e l’uso degli obiettori in missioni umanitarie in zone di conflitto. La Legge è più avanzata della realtà, che vede ancora nella maggioranza dei casi un servizio civile dequalificato.

Nel 2001 (dopo la sospensione della leva obbligatoria) viene approvata la Legge istitutiva del Servizio Civile volontario, aperto a ragazzi e ragazze, come ideale prosecuzione del servizio civile alternativo degli obiettori.

Il Movimento Nonviolento è stato in prima fila per sostenere l’approvazione di questa Legge (la n. 64/2001) e mantenere un collegamento diretto ed esplicito con la storia e i contenuti dell’obiezione di coscienza. La legge riconosce che il Servizio Civile concorre “alla difesa della Patria con strumenti ad attività non militari”, e nelle “linee guida” per la formazione obbligatoria che ricevono i giovani all’avvio del loro Servizio, sono presenti elementi importanti che riconoscono il valore della nonviolenza come elemento centrale del Servizio Civile: “La difesa civile non armata e nonviolenta, che si pone quale alternativa alla difesa militare, si riferisce anche a forme storiche di difesa popolare nonviolenta, realizzatesi in Italia e all’estero, e ha come indirizzo culturale e metodologico la prevenzione e la gestione nonviolenta dei conflitti e delle controversie internazionali”.

Il resto è storia di questi giorni. Una storia che dura da quarant’anni. Sono più di un milione e trecentomila gli obiettori e i volontari che hanno scelto di rifiutare l’istituzione militare e di svolgere un servizio utile per la comunità. Questo elenco li può aiutare a fare un po’ di memoria, e a capire che l’opportunità che oggi hanno è dovuta ad alcuni ragazzi che hanno scelto il carcere piuttosto che la caserma.

Una storia lunga 50 anni (1962-2013)

1962 – L’obiezione di Giuseppe Gozzini, primo obiettore cattolico in pieno periodo conciliare, fece enorme scalpore anche per il successivo coinvolgimento di padre Ernesto Balducci che ne difese la posizione e fu per questo, dopo vari processi, definitivamente condannato in Cassazione.

Esce in Italia il film di Autant-Lara Non uccidere che, anche se mutilato in alcuni punti dalla censura, pone il problema bruciante dei rapporti tra individuo e Stato e tra Chiesa Cattolica e strutture militari.

1963 – Un importante documento conciliare, la Gaudium et spes, afferma: “Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio alla comunità umana”. Ma ciò non bastò a considerare la Chiesa come sicuro alleato nella lotta per l’acquisizione di questo basilare diritto, come dimostreranno le successive vicende.

1964 – Grazie all’impegno di Aldo Capitini, Piero Pinna e Luisa Schippa inizia la pubblicazione della rivista Azione Nonviolenta nella quale vengono sviluppati temi sulla pace, sull’antimilitarismo, sulle tecniche di difesa nonviolenta, sulla politica e la filosofia del pacifismo e della nonviolenza, e naturalmente sull’obiezione di coscienza. Iniziano pure le manifestazioni di piazza del Gruppo di Azione diretta Nonviolenta (G.A.N.) per far conoscere il problema dell’obiezione di coscienza. Ma la polizia politica reprime subito ogni tentativo con fermi e denunce. I successivi processi vedranno sempre assolti i manifestanti, ma intanto per anni non si è potuto parlare di obiezione nelle piazze.

1965 – Un gruppo di cappellani militari, nonostante il pronunciamento conciliare di due anni prima, affermò pubblicamente di considerare “un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza, che estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”. Don Lorenzo Milani e la sua scuola di Barbiana rispondono con una lettera aperta difendendo le posizioni degli obiettori e procurandosi così una denuncia per apologia di reato. Nella successiva autodifesa davanti ai giudici, don Milani preciserà ulteriormente il valore dell’obiezione di coscienza, dando anche una testimonianza di vita e di autentica cultura che sono e resteranno attualissime per molto tempo ancora. Dopo una prima assoluzione, la condanna della lettera arriverà in appello nel 1968, quando il prete era morto ormai da più di un anno. Ma intanto il problema era stato posto in termini più lucidi sia nei confronti del messaggio evangelico, sia nei suoi risvolti socio-politici.

La Commissione Affari Costituzionali riconosce che una eventuale legge sull’o.d.c. non sarebbe in contrasto con l’art. 52 della Costituzione (“La difesa della Patria è sacro dovere di tutti i cittadini”) ammettendo la possibilità di difendere la Patria anche senza l’uso delle armi.

Obiettano congiuntamente l’anarchico Ivo Della Savia, il cattolico Giorgio Viola e il laico Antonio Susini.

1966 – Viene condannato un altro obiettore cattolico, Fabrizio Fabbrini, che rifiutò la divisa dopo aver quasi completato il servizio militare, dieci giorni prima del congedo, creando il solito subbuglio nel mondo cattolico ancora profondamente diviso su questo tema.

Viene approvata la legge Pedini che prevede l’esonero dal servizio militare per quei giovani che abbiano svolto due anni di lavoro in paesi in via di sviluppo. Per oltre un anno resta inoperante per mancanza del regolamento. Nonostante i limiti numerici e organizzativi (non più di cento giovani l’anno, titoli di studio specialistici, contratto di lavoro preventivo) da molti viene vista come una possibile soluzione per l’o.d.c..

1967 – Il Consiglio d’Europa approva all’unanimità (cioè anche con i voti dei rappresentanti italiani) una risoluzione a favore dell’o.d.c. di cui in Italia non si tenne conto.

Nel mese di novembre si trovano in carcere settantasette obiettori, la maggior parte dei quali sono Testimoni di Geova che non si curano di dare pubblicità e peso politico alla loro scelta, né sono interessati ad una legge che preveda il servizio civile alternativo. Il loro problema a tutt’oggi non è ancora risolto.

1968 – Diviene operativa la legge Pedini. Il sottoscritto, che nel frattempo aveva iniziato il servizio militare, chiede di poter essere trasferito al servizio civile previsto dalla legge, ma ciò si rivela tecnicamente impossibile. Ne consegue il rifiuto a proseguire il servizio militare, provocando così il processo e l’inevitabile condanna come da copione ormai collaudato.

1969 – Sull’onda delle lotte studentesche e operaie si forma il Movimento dei soldati per organizzare l’opposizione di classe all’interno delle Forze Armate contrapponendosi spesso per finalità e metodi di lotta ai gruppi nonviolenti.

1970 – Da Lotta Continua si forma il gruppo dei Proletari in divisa, mentre il manifesto genera i Comitati dei militari comunisti. La lotta antimilitarista si fa anche lotta sociale.

Processo all’obiettore Claudio Bedussi.

1971 – Cominciano a verificarsi obiezioni collettive, con una riduzione del valore di testimonianza individuale ma con un rafforzamento del peso politico e istituzionale dell’iniziativa.

Matteo Soccio rifiuta a Casale Monferrato di vestire la divisa.

Prima restituzione collettiva dei congedi militari come forma di rifiuto a eventuali richiami.

Mario Pizzola entra in carcere a Peschiera a seguito di una dichiarazione di obiezione collettiva. Anche Roberto Cicciomessere sottoscrive una dichiarazione collettiva e finisce a Peschiera.

1972 – Dodicimila cartoline vengono spedite ai presidenti delle due camere, Pertini e Fanfani, per sollecitare l’approvazione della legge. Cresce la pressione sul Parlamento per mettere all’ordine del giorno la Legge per gli obiettori. La campagna “Natale a casa per gli obiettori”, sostenuta anche da un digiuno di 39 giorni, trova risposta positiva il 15 dicembre con l’approvazione della Legge 772 (Legge Marcora).

Primo riconoscimento giuridico da parte dello Stato dell’obiezione di coscienza, ma con carattere punitivo e discriminatorio nei confronti degli obiettori; istituzione di una commissione militare giudicante le motivazioni di coscienza dell’individuo; equiparazione dell’obiettore al militare di leva, compresi i provvedimenti disciplinari; maggiore durata del servizio civile rispetto a quello militare.

1992 – Rifiuto da parte del Presidente della Repubblica (Cossiga) di apporre il visto alla Legge di riforma dell’obiezione di coscienza (Legge Guerzoni) già approvata dalle due Camere.

1998 – 8 luglio, approvazione delle Legge 230.

Riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto soggettivo; abolizione della commissione militare giudicante; affermazione dell’importanza della formazione degli obiettori e dei loro formatori; istituzione dell’Ufficio per il Servizio Civile Nazionale, presso il Dipartimento degli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio e trasferimento della gestione del servizio civile dal Ministero della Difesa ad esso; inserimento e quindi riconoscimento giuridico della Difesa Popolare Nonviolenta (sperimentazione di forme nonviolente di risoluzione dei conflitti e uso degli obiettori in missioni umanitarie e per il mantenimento della pace in zone di conflitto); adeguamento della durata del servizio civile al servizio militare; difficoltà di applicazione concreta della Legge, in particolare per quanto riguarda l’istituzione del nuovo Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e la sperimentazione della Difesa Popolare nonviolenta.

2000 – 14 novembre, approvazione della Legge 331.

Abolizione della leva obbligatoria a partire dal 2007 (poi anticipata al 2005) in vista dell’istituzione di un esercito professionale.

2001 – 6 marzo, approvazione della Legge 64.

Istituzione del Servizio Civile Nazionale su base volontaria; ammissione al servizio civile delle ragazze e dei militesenti tra i 18 e i 26 anni (aperto anche ai ragazzi dopo l’abolizione della leva) possibilità di svolgere il servizio anche all’estero.

2004 – In febbraio viene costituito il Comitato di consulenza per la Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta (Comitato DCNAN) con il fine di individuare indirizzi e strategie di cui l’UNSC possa tenere conto nella predisposizione di forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta.

2005 – La Legge 23 agosto 2004, n. 226 ha disposto la sospensione delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1º gennaio 2005. Infine, il decreto legge del 30 giugno 2005 n.115 ha stabilito che a decorrere dal 1º luglio 2005 il personale di leva potesse, con apposita domanda, di cessare anticipatamente dal servizio di leva.

2006 – Il 1° gennaio entra in vigore il d.lgs 5 aprile 2002, n. 77 determinando il trasferimento delle competenze gestionali del SCN alle Regioni e Province autonome, che sono tenute ad istituire l’albo regionale degli Enti SCN appartenenti al proprio territorio, la soppressione di tutte le sedi periferiche dell’UNSC e la contestuale costituzione del Servizio Civile Nazionale in ogni capoluogo di Regione e Provincia autonoma.

2007-2009 – Sono gli anni in cui si assiste ad una progressiva riduzione del numero dei progetti e dei volontari ammessi al Servizio Civile, frutto di una chiara volontà politica di annullare questo istituto. A fronte di oltre 90.000 domande annuali, solo un terzo viene ammesso al Servizio.

2010 – Nel mese di luglio il Senato approva la legge “Disposizioni in materia di corsi di formazione delle Forze armate per i giovani” che istituisce la mini-naia, ovvero stages denominati “Pianeta Difesa” in cui per due settimane i giovani, ragazzi e ragazze, vivranno l’esperienza della divisa militare da volontari presso le caserme.

2012 – I tagli al bilancio statale hanno ulteriormente messo in crisi anche il Servizio Civile, che è stato ridotto ai minimi storici, con una drastica diminuzione di posti messi a bando e lo scaglionamento delle partenze. Le promesse di una riforma e di un rilancio, con l’apertura anche ai giovani immigrati, sembrano sempre più lontane.

2013 – Il nuovo governo delle “larghe intese”, non si è ancora pronunciato sul servizio civile (ma lo ha già fatto sugli F35 dicendo che la volontà è quella di mantenere l’acquisto!); al momento non sappiamo ancora se nel prossimo mese di settembre potrà partire un nuovo contingente di giovani del servizio civile, quanti progetti verranno finanziati.

* Presidente del Movimento Nonviolento e Direttore della rivista “Azione nonviolenta”

Mao Valpiana alla Perugia-Assisi 2011

03 lunedì Ott 2011

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Aldo Capitini, marcia per la pace 2011, Movimento Nonviolento, nonviolenza, Pietro Pinna

Il discorso di Mao Valpiana, presidente del Movimento nonviolento, alla Rocca di Assisi in occasione del cinquantesimo anniversario della Marica per la pace e la fratellanza dei popoli Perugia-Assisi. 25/09/2011.


“I giovani del 1961 hanno camminato oggi insieme ai giovani del 2011.
Abbiamo camminato seguendo due idee fondamentali: pace e fratellanza.
Pace e fratellanza sono il programma politico che Capitini ci ha indicato
nel 1961 e che ancora oggi è il nostro programma politico.

Pace e fratellanza si raggiungono attraverso una strada maestra che è
quella del disarmo.
Disarmo significa riduzione drastica delle spese militari.

L’articolo 11 della Costituzione italiana dice: “l’Italia ripudia la
guerra”. Per ripudiare la guerra noi oggi dobbiamo ripudiare gli strumenti
che la rendono possibile: gli eserciti e le armi.
Ringraziamo il presidente Napolitano del messaggio che ci ha inviato oggi,
ma gli diciamo che l’articolo 11 vale sempre, vale anche per la guerra in
Libia, e vale per la guerra in Afghanistan!
Non si possono difendere i diritti umani con i bombardamenti.

E solo quando realizzeremo e applicheremo veramente l’articolo 11 della
Costituzione avremo la strada aperta per attuare concretamente tutti i
dieci articoli precedenti: la pace, la giustizia, l’uguaglianza, il lavoro
dignitoso per tutti, si possono ottenere solo attraverso l’abolizione
della guerra e della sua preparazione.

La vera marcia, lo sappiamo, comincerà questa sera, quando ognuno di noi
tornerà nella propria casa con l’impegno di realizzare il programma
politico nonviolento: pace e fratellanza.
Per cominciare, dobbiamo partire da noi stessi, ognuno di noi deve fare il
proprio disarmo.
Un disarmo unilaterale, un disarmo culturale. Fare cadere i muri dentro le
nostre teste. Spezzare il proprio fucile.
Non aspettiamo che siano gli altri a disarmare, incominciamo noi!

Questa è la chiave della nonviolenza: partire dalla propria esperienza,
mettere in gioco la propria vita.
Questo è l’orizzonte che ci ha mostrato Aldo Capitini, questo è il varco
attuale della storia che Capitini ha indicato dalla Rocca di Assisi
cinquant’anni fa.

Il Movimento Nonviolento, da lui fondato, prosegue il cammino nella
direzione di una politica nonviolenta per l’opposizione integrale alla
guerra.

Concludo portandovi il saluto di Pietro Pinna, il primo obiettore di
coscienza italiano che ha aperto la strada nel nostro paese all’obiezione
di coscienza: obiettiamo alle armi, obiettiamo agli eserciti, obiettiamo
alla guerra!”.

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