Verona è una città militare.
La prendo alla larga, ma la faccio breve. Nasce nel neolitico sul Colle San Pietro, luogo facilmente difendibile da attacchi esterni; in epoca romana è un castrum fortificato; nell’epoca imperiale di Augusto una base per le legioni; l’imperatore Gallieno, per difendersi dalle invasioni barbariche fa costruire le mura della città; nel regno di Teodorico è il centro militare più importante; re Pipino fa riadattare la cinta muraria; durante il dominio visconteo vengono rafforzate le difese murarie, eretti i castelli di San Pietro e San Felice e costruita una cittadella militare; poi i veneziani progettano la fortificazione della città e creano il sistema difensivo che sarà ripreso e potenziato dagli austriaci nell’Ottocento, rendendola una città-piazzaforte; Verona è il perno del sistema di difesa del Quadrilatero; dal 1848 al 1866 diventa la città più fortificata dell’Impero, vengono costruiti i forti e creato il primo campo trincerato; seguono poi le vicende militari della prima e seconda guerra mondiale, durante la quale Verona vede l’insediamento dei più importanti comandi militari nazisti ed è la capitale della fascistissima Repubblica di Salò; nel dopo guerra ospita il centro strategico delle Forze Terrestri Nato in Sud Europa (Ftase), base di oscure trame nere, fino ai giorni nostri …
Questa “vocazione militare” ha certamente forgiato lo sviluppo storico della città, ma anche urbanistico e forse perfino antropologico. Il carattere chiuso, difensivo, conservatore dei veronesi de soca forse trova origine proprio in questa dimensione militare.
Dunque, non possiamo pensare alla Verona di domani senza fare i conti con la Verona di ieri.
La città è “moderata”, diffidente verso ogni innovazione, prudente fino all’eccesso. A parte l’esperienza del sindaco socialista Aldo Fedeli, dal 1946 al 1951, tutte le amministrazioni successive fino al 1994 sono state saldamente in mano ad un democristiano; poi un paio di amministrazioni di “centro-destra” e una di “centro-sinistra” (dove in verità il “centro” prevaleva su destra e sinistra), ed infine negli ultimi 9 anni, con l’elezione diretta del Sindaco, i veronesi hanno scelto uno de noaltri, il sindaco-sceriffo Flavio Tosi, rassicurante difensore della tradizione, dell’ordine, dei nostri schei (secondo la vulgata, anche se la verità dei fatti dice ben altre cose).
Negli anni ci sono stati, va riconosciuto, anche interessanti tentativi di innovazione politica, e non solo “di sinistra”, per tentare di offrire alla città un governo del cambiamento. Una novità fu certamente l’irrompere sulla scena civile e politica di Verona di una visione “verde”. Pur con storie, tempi e modalità diverse, le varie esperienze associative del Wwf, Italia Nostra, Legambiente, Amici della Bicicletta e poi le varie aggregazioni politiche dei Verdi (Verdi del Sole che ride, Verdi Arcobaleno, Verdi-Comitati di Quartiere, Verdi della Colomba) hanno contribuito a costruire un programma ambientalista, ecologista, per la nostra città, con proposte precise e concrete, che vanno dalla mobilità (rete di piste ciclabili, tramvia, zone pedonali, ecc.) fino alla salvaguardia della collina e la valorizzazione delle Mura. Il patrimonio accumulato in quarant’anni di ambientalismo scaligero è enorme, e la neonata associazione VeronaPolis ne ha presentato una sintesi ragionata e fruibile per l’oggi. Niente di nuovo sul piano programmatico, ma ancora tutto o in gran parte da realizzare.
Eppure le occasioni per fare una politica verde non sono mancate. Forse i più giovani non sanno che i verdi sono stati anche ai vertici dell’amministrazione veronese: nel 1993 un vicesindaco, e assessorati all’urbanistica, ai giardini e strade, all’ecologia, ai problemi energetici, economato e bilancio, e dal 2002 assessorato allo sport, ambiente, tempo libero, agenda 21 e presenze nei consigli di amministrazione di Amt, Agsm, Veronamercato, Consorzio Zai, e la presidenza della commissione dell’Estate teatrale veronese. Una buona potenzialità, oggi quasi inimmaginabile, ma che non ha sortito i risultati desiderati. Significa che avere buoni programmi e personale politico sono elementi importanti ma non ancora sufficienti per influire sullo stato della cosa pubblica. Ci vogliono anche le condizioni politiche per poter agire, e soprattutto un consenso elettorale, culturale e sociale diffuso. Non basta quindi mettere insieme un buon programma, magari con guizzi poetici, ed affidarlo ad una squadra composta da persone, liste e partiti “di buona volontà”. Sarebbe troppo facile, non funziona così. Ci vuole un’idea forte (programma), chi la sa rappresentare (lista, movimento o partito), e una strategia per metterla in atto (politica). Fuori da questa triade, i sogni restano sogni, con il rischio, al risveglio, di vederli trasformati in incubi.
Dal condizionale singolare della Verona che vorrei (io), bisogna passare al plurale indicativo della Verona che vogliamo (noi). E’ necessario creare un legame diretto tra impegno sociale e impegno nelle istituzioni pubbliche. La politica è uno strumento umano per prendersi cura del luogo dove viviamo, di ciò che appartiene a tutti. La politica è l’arte della relazione umana e della ricerca della libertà, è la risposta alla necessità di confrontare il nostro desiderio con il desiderio degli altri. Un lavoro politico quotidiano di cura e responsabilità, un’indispensabile pratica di ascolto e partecipazione. Questa è la politica che crea i miraggi capaci di mettere in moto le carovane.
Dobbiamo praticare nuove strade, valorizzare esperienze di “utopie concrete” che già sono vive nella società, a volte poco visibili ma determinanti per costruire il cambiamento. L’ambientalismo ha sempre parlato di generazioni future, di rispetto della terra avuta in “eredità dai nostri figli”. Oggi, nei fatti, noi siamo in guerra con le generazioni future. Stiamo loro togliendo i diritti, i beni comuni, stiamo avvelenando la terra su cui vivranno, l’aria che respireranno, il clima che avranno. Stiamo loro letteralmente impedendo di vivere bene. Dobbiamo fare la pace con il loro futuro. Dobbiamo occuparci delle diverse generazioni in politica, della necessità dello scambio, perché solo così avviene un’educazione alla politica e una risposta adeguata alla necessità di cambiamento. Non si devono rottamare gli oggetti, figuriamoci le persone. Il nuovo, soprattutto in politica, troppo spesso butta via in modo inconsapevole anche le cose buone del passato e la sua memoria. Lo scambio intergenerazionale, così come le diverse culture, è l’anima della politica, la sua fonte inesauribile di proposta e soluzioni.
Infine, chiediamoci qual è il luogo per poter fare politica e soprattutto fare una buona politica? Qual è la “casa” della politica? Nell’era della politica globale è la scelta locale a fare la differenza: per praticare la politica bisogna scegliere un luogo, affrontare un territorio, governare la città.
Non a caso il sottotitolo dell’enciclica pontificia Laudato si’ è “la cura della casa comune”. La nostra casa comune è la città di Verona. Prendersene cura significa anche candidarsi ad amministrarla, in modo diverso (negli obiettivi e nel metodo) da come è stato fatto finora.
E’ inevitabile quindi ragionare sul degrado e la perdita d’identità dei partiti che oggi sempre più hanno perso la loro connotazione popolare, abbandonando, con la carica ideologica anche i valori della partecipazione e della rappresentanza. E’ sempre più difficile per chi vuole occuparsi di bene pubblico aderire ai partiti politici o ai movimenti che chiedono una rappresentanza istituzionale. Per vedere e praticare il futuro dobbiamo “superare le cornici”, uscire dalle contrapposizioni ostili, e fare politica evitando di mettersi in cattedra, di erigere dei muri alla comprensione, di costruire risposte che funzionano sempre, per tutto, indipendentemente dalle sollecitazioni della realtà. Dobbiamo trovare le soluzioni moltiplicando le possibilità di scelta e le opzioni di cambiamento. Come diceva Alexander Langer bisogna essere talpe, per scavare in profondità, e giraffe, per vedere dall’alto. La talpa si muove goffamente, la giraffa con eleganza. Saranno quindi tentativi a volte goffi a volte eleganti quelli che faremo per aggiustare e curare la nostra città. Il programma minimo di base c’è già, e deve tenere conto delle limitatissime risorse a disposizione (chiudere definitivamente le procedure per il Traforo e il Filobus; una politica della mobilità che riduca il traffico privato e potenzi quello pubblico; una politica della casa e dei servizi sociali con attenzione ai meno abbienti e agli anziani; salvaguardia del verde, rendere agibile e fruibile l’Arsenale e gli altri spazi pubblici; sicurezza del territorio e valorizzazione dei quartieri, ecc.); la lista delle persone che si candideranno a gestire l’istituzione comunale, dovrà saper discutere e confrontarsi con gli elettori in gran parte disorientati, sfiduciati, scettici. C’è una prateria aperta, fatti di voti moderati in libera uscita, da conquistare. Il processo di mediazione, di compromessi al rialzo, di nuove alleanze per suscitare partecipazione e consensi, è la vera scommessa per il lavoro del prossimo anno: conquistare una maggioranza per realizzare la Verona che vogliamo (noi). Nella definizione di questo “noi” c’è il passaggio politico decisivo. Sta a ciascuno decidere se metterci il proprio “io ci sto” per trasformare Verona da città militare, chiusa, a città civile, aperta. Io ci sto.
Mao Valpiana