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Aldo Capitini, don Lorenzo Milani, Giuseppe Gozzini, Lanza del Vasto, Papa Francesco, Papa Giovanni XXIII, Pietro Pinna
Convegno a Viterbo, sabato 13 gennaio 2024.
Relazione di Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento
L’enciclica di Papa Giovanni XXIII “Pacem in Terris” è del 1963. Il contesto nel quale si inserisce, internazionale e nazionale, è di grande fermento. Nel 1961 viene costruito il Muro di Berlino, che divide l’Europa in due blocchi contrapposti, Nato e Patto di Varsavia.
La Marcia Perugia-Assisi del 1961, ideata e promossa da Aldo Capitini, mette insieme per la prima volta il pacifismo social-comunista, con quello cattolico e quello liberal-radicale, in un unico movimento che si poneva tra gli obiettivi principali, il lancio del metodo della nonviolenza, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, l’abolizione degli esperimenti e delle armi nucleari.
Nei movimento pacifisti e nonviolenti europei ed italiano il dibattito sull’obiezione di coscienza era vivace e attualissimo. In Francia attorno al caso della guerra in Algeria registriamo l’uscita del film di Autant-Lara Tu ne tueras point (in Italia con il titolo Non uccidere, verrà bloccato dalla censura e proiettato dal Sindaco di Firenze Giorgio La Pira con una atto di disobbedienza civile), la canzone di Boris Vian Le Déserteur, e da lì a poco sarà approvata la legge che riconosce l’obiezione al servizio militare. In Italia aveva già fatto clamore il caso dell’obiettore Pietro Pinna nel 1949, ma è nel 1962 che fa discutere, dentro e fuori la Chiesa, il caso del primo obiettore cattolico, Giuseppe Gozzini. È in quel periodo che Fabrizio De Andrè scrive e pubblica La ballata dell’eroe con un testo dal sapore fortemente antimilitarista.
In questo clima, i nonviolenti si aspettano molto e nutrono grandi speranza nell’Enciclica, che possa dire parole chiare sulla nonviolenza, l’obiezione di coscienza, le armi atomiche.
Giovanni Giuseppe Lanza del Vasto, discepolo di Gandhi che egli chiamerà Shantidas, servitore della pace, fondatore del movimento delle Comunità dell’Arca (spiritualità e nonviolenza, un ordine ecumenico bastato sull’autosufficienza, il lavoro manuale, la preghiera e l’impegno militante per la pace) scrive direttamente al Papa e farà un digiuno di preghiera di 40 giorni, a Roma al monastero dei monaci trappisti della frattocchie, in attesa di parole forti sulla pace. Il giorno prima della pubblicazione ufficiale del testo, il Segretario di Stato Vaticano consegnò a Chanterelle, la moglie di Lanza, il testo dell’enciclica Pacem in Terris: “Dentro ci sono cose che non sono mai state dette, pagine che potrebbero essere firmate da suo marito!”.
Anche Aldo Capitini guardava con molta attenzione e interesse a quanto avrebbe elaborato Giovanni XXIII sulla nonviolenza, la guerra, l’obiezione di coscienza. Studiò attentamente questa Enciclica e tutti i 16 documenti elaborati dal Concilio Vaticano secondo (Papi Giovanni XXII e Paolo VI), per capire davvero quanto la Chiesa si fosse aperta sui temi della nonviolenza.
Capitini nel 1966 pubblicò il libro Severità religiosa per il Concilio.Il titolo già anticipa in qualche modo il giudizio del filosofo “libero religioso”: un giudizio severo e sereno, che mette in luce limiti ed aperture. La nonviolenza non viene nemmeno nominata nell’Enciclica, e per Capitini questa è una “occasione perduta”. Quanto alla guerra “Malgrado i discorsi la guerra esce vittoriosa dal Concilio. Chi si aspettava la sua sconfitta, non può non essere triste”.
Capitini scrive che secondo i testi del Concilio:
“La guerra è ammessa, soltanto va posto un «freno» alle sue atrocità mediante convenzioni.
La Costituzione che esaminiamo, non vede altri modi di fronteggiare la guerra che questi:
- auspicare un’autorità internazionale competente e forte;
- fare la guerra solo per legittima difesa;
- non farla come totale, distruggendo intere città, regioni ecc.”
Il commento di Capitini, però, lascia aperta una speranza:
“Resta ai cattolici dopo il Concilio un grave compito, anche in questo campo, e io sono sicuro che vi saranno molti che lo affronteranno con grande sincerità e serietà. Essi partiranno dalla constatazione che:
- il Concilio non ha escluso la collaborazione alla guerra;
- non ha escluso che i cattolici possano fabbricare e tenere armi nucleari ed usarle;
- ha usato un’espressione alquanto debole per il «caso» degli obbiettori di coscienza, neppure chiedendo il riconoscimento legale, ma soltanto che le leggi «provvedano umanamente», il che è ben poco.
“Non capire l’importanza centrale della nonviolenza è proprio, per se stesso, significativo di appartenere al versante del passato e di non essere riusciti, pur con un imponente moto di persone e di mezzi, a salire alla cima per discendere l’altro versante sereno. Ma gli esseri sono più delle istituzioni; i cattolici, con nuovo fervore, cercano, incontrano, discutono, s’impegnano”.
La Pacem in Terris è certamente un documento che apre nuovi orizzonti per la Chiesa, rivoluzionario per il tempo di allora, che dice parole definitive contro le armi nucleari (il pericolo reale di quel tempo, come di oggi) e che mette le basi per una riflessione seria su nonviolenza e obiezione di coscienza, senza tuttavia trovare ancora le parole giuste.
Infatti, basterà aspettare un paio di anni, e nel 1965 sarà un sacerdote, don Lorenzo Milani, a dire le parole giuste sull’obiezione di coscienza e la nonviolenza nella sua lettera “L’obbedienza non è più una virtù”. Don Lorenzo, prete ubbidientissimo che difende gli obiettori, sulla nonviolenza rispetta il travaglio conciliare: “Ho evitato apposta di parlare da nonviolento. Personalmente lo sono. Ho tentato di educare i miei ragazzi così. Li ho indirizzati per quanto ho potuto verso i sindacati (le uniche organizzazioni che applichino su larga scala le tecniche nonviolente). Ma la nonviolenza non è ancora la dottrina ufficiale di tutta la Chiesa. Mentre la dottrina del primato della coscienza sulla legge dello Stato lo è certamente. Mi sarà facile dimostrarvi che nella mia lettera ho parlato da cattolico integrale, anzi spesso da cattolico conservatore”.
Bisognerà aspettare altri 60 anni perché la nonviolenza diventi il cuore della pastorale del pontificato. Papa Francesco, nella lettera “Laudato si’” pone il tema della nonviolenza verso la natura, l’ambiente, il creato, con la lettera “Fratelli tutti”, pone la questione della nonviolenza tra gli uomini, la pace, la guerra.
“La nonviolenza: stile di una politica per la pace” è il titolo della giornata mondiale per la pace del 2017, ed è la prima volta che la nonviolenza specifica viene presentata come scelta preferenziale in un documento pontificio. Ancora con maggior decisione e coraggio nel luglio del 2022 alla Conferenza europea dei giovani, Papa Francesco indica la figura di Franz Jägerstätter (contadino austriaco cattolico, obiettore di coscienza antinazista che rifiutò il giuramento e il servizio militare, già proclamato Beato da Benedetto XVI), come modello da seguire.
“Per dire no alla guerra bisogna dire no alle armi” è la precisa dichiarazione che Papa Francesco fa nel Natale 2023, alla quale fa seguire la coerente decisione dell’Ospedale vaticano del Bambin Gesù di rifiutare una donazione di 1 milione e mezzo di euro da parte dell’azienda bellica Leonardo.
Papa Francesco fa la sua parte. Noi dobbiamo fare la nostra.
Le campagne che abbiamo avviato di Obiezione alla guerra (sostegno a obiettori, disertori, renitenti di Russia, Bielorussia, Ucraina, Israele e Palestina) e la campagna Un’altra difesa è possibile, per l’istituzionalizzazione della Difesa civile non armata e nonviolenta, rappresentano le due gambe di opposizione alla guerra e costruzione della pace su cui camminiamo.
Le richieste che facciamo all’Europa e all’Italia sono il riconoscimento dello status di rifugiati politici (accoglienza e protezione) per tutti gli obiettori dei paesi in guerra, e l’istituzione (programmazione e finanziamento) dei Corpi Civili di Pace come alternativa all’esercito.